venerdì 30 dicembre 2011
La nostalgia è per i dilettanti.
Come al solito: cosa mi è piaciuto.
Mi è piaciuto cantare in carcere, stare chiusa dentro un pomeriggio e guardare in faccia gli uomini e le donne che dentro ci passano i mesi e gli anni. Il signore così vecchio da sembrare mio padre e la ragazzina così giovane, ma così giovane da poter essere mia figlia; la donna che faceva cenno alla guardia di dover andare ad allattare, il gruppo di ragazzi che facevano il tifo da stadio e un uomo, immobile e impassibile, ma con la faccia così segnata che a un certo punto ho capito che si era commosso, perché gli si erano scurite le ombre sul viso.
Anche se le guardie carcerarie hanno sbagliato, perché prima non volevano far entrare il Maraschino perché non era sull'elenco, poi non si sono accorti che avrebbero dovuto tenerlo dentro e l'hanno fatto uscire.
Distratti.
Sventati.
Mi è piaciuta la rassegna in chiesa, perché essenzialmente quando M.o Ad è di buonumore mi piace cantare qualsiasi cosa, ovunque, anche senza motivo. Quindi non m'importa se decide, putacaso, di piazzare il duetto buffo dei gatti accanto alla fuga della Petite o il Carnevale di Venezia gomito a gomito con l'Inflammatus. Mi è piaciuto poi accompagnare la Ballerina ad accompagnare il coro BDSG a cena, vedere il M.o Mario far attraversare impunemente la Statale all'ora di punta di sera al buio lontano dalle strisce pedonali a una fiumana di coristi e accompagnatori, con sommo sprezzo del pericolo e quella simpatica tracotanza che tendono a sviluppare la maggior parte dei direttori di coro dopo molti anni di servizio (Trantor, sei avvertita). Mi è piaciuto persino rimanere incastrata - sempre con l'indomita Balle - a fare da cameriera alla cena dopo concerto e distribuire piadine a mani nude ululando a gran voce "ho lavato le mani adesso, ho lavato le mani adesso!". L'understatement è la mia ragione di vita.
Mi è piaciuto arrivare al galoppo al concerto a SPIC, dopo un pomeriggio passato al corso sull'imposta di bollo e le autocertificazioni, con i calzoni (articolo proibitissimo d'ora in poi, mi dicono), il body, la giacca e la collana di perle lunghissima (oddio, lunghissima... diciamo giusta. Diciamo perfetta, anzi). SPIC era straultrarcimegapiena, mi è piaciuta anche la presentatrice tutta ànema e ccòre e la collega dell'anagrafe che mi ha fatto i complimenti e non ci credeva che ero lì a cantare, dopo essere stata con lei tutto il pomeriggio al corso sull'imposta di bollo eccetera eccetera. E mi è piaciuto il rosso, la pizza, il pandoro e il panettone, dopo.
Mi è piaciuto il concerto per la Banca anche se M.o Ad era stanco - ma non si può davvero pretendere che non lo sia mai, con il trascorrere del tempo pare stia diventando un essere umano a tutti gli effetti. Mi sono divertita da morire a Montefiore, con SimonSays che ci aveva caricate tutto baldazoso sulla sua macchina, "facciamo le strade secondarie, passiamo per l'interno così non ci beccano per la storia delle catene", che infatti non ci hanno beccato per la storia delle catene, ma ci ha beccato in pieno una tormenta di neve ed eravamo, appunto, senza catene né gomme termiche, in strade prive di illuminazione e zeppe di simpatici greppi scoscesi ai lati. Mi è piacuto arrivare sana e salva, tirare giù il finestrino per chiedere indicazioni sul teatro e beccare il mio freschissimo ex-dirigente, saltare giù dalla macchina, baciarlo su tutte e due le guance (insomma, adesso che non è più il mio dirigente lo posso fare) e farmi raccontare cosa succede ai musei (insomma, adesso che non è più il mio lavoro lo posso fare senza che mi venga un infarto). Mi è piacuto sguillare sulla neve con gli stivali, cantare in un teatro piccolo come quello della Barbie e, alla fine, mangiare i cioccolatini più buoni del mondo con i complimenti della signora Sindaco.
E' inutile dire che mi è piaciuto cantare al Naima Club. Inutile, ridondante, scontato. Sembrava di essere piombati in un film diretto in tandem da Fellini e Truffaut, con i divanetti, noi stesi ad ascoltare la parte strumentale già vestiti da concerto che sembravamo tutti Humphrey Bogart e Lauren Bacall, il bar, il palco su due livelli, i praticabili impraticabili e soprattutto gli Argentini, che suonavano e cantavano perfettamente a loro agio. Scena che si è ripetuta qualche sera dopo qui da noi, quando le belle bigliettajone (che squadra, eh, Balle? Vabbé, magari io ho poca pazienza con gli utonti più tonti, ma tanto ci sei tu che sei paziente. Vabbè, magari a volte mi perdo qualche pezzo, ma tanto ci sei tu che sei precisa. Ed io che ci sto a fare? beh, arrivo mezz'ora prima e sistemo la location, no???) hanno stipato all'inverosimile la sala ("io devo entrare, sono la proprietaria dell'albergo" - "sì signora, e io sono Ulysses E. Grant..." - "... ma che dice, io sono davvero la proprietaria dell'albergo!") e poi si sono fiondate a cantare come al solito, col trucco volante e un'aggiustatina dell'ultimo minuto ma la soddisfazione di vedere un mare di teste infinito che si muove al ritmo del tango. Compresa la testolina del mio settenne RodolfoValentino che ha nell'ordine: a) distribuito i programmi sulle sedie, b) aiutato in biglietteria, c) ascoltato e guardato tutto il concerto dalla prima fila seduto accanto a due perfetti sconosciuti adulti coi quali ha subito attaccato pezza, d) riconsegnato gli spartiti al M.o Ad a fine concerto con tempismo e savoir faire straordinari, e) presenziato lucidamente alla cena post-concerto sollazzandosi tra i gormiti del vicino di sedia e un paio di tentativi di accoltellare Ad (altro suo vicino di sedia).
E infine devo dire che sì, mi è piaciuto persino cantare a SG assieme al coro BDSG, nella chiesa più fredda dei Sibillini - perché il riscaldamento a pavimento, cari amici BDSG, nelle chiese antiche va acceso un pelino prima, un paio di giorni in anticipo, tipo, altrimenti scalda solo un po' le suole, e basta. Mi è piaicuto anche se ho risposto a una domanda dicendo una bugia (e mi rode, occomemirode), anche se ho dovuto accompagnare zingarelle e mattadori al tamburello ai 200 all'ora, anche se la rosa verde appuntata al petto di alcune coriste a formare la bandiera italiana pareva un cespo di lattuga un po' appassita, anche se dopo la mezzanotte coi vincisgrassi ho bevuto il bianco al posto del rosso.
Anche se era l'ultimo.
Soprattutto perché era l'ultimo.
Nostalgia?
Mah.
La nostalgia è per i dilettanti.
Io, invece, sono una di quelle.
Una di quelle che la nostalgia ce l'ha già prima del primo concerto, al viaggio di andata, mentre fa la valigia per partire, perché pensa che questa cosa bellissima poi finirà.
Dopo poi mi accorgo che non finisce, che resta lì e fa le radici, e ti torna su ogni volta che ascolti - un pezzo del Requiem di Brahms, El ultimo cafè, la fuga dello Stabat...
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mercoledì 28 dicembre 2011
L'important c'est la rose.
Noi filarmoniche, da due o tre anni, abbiamo questa cosa.
Non ricordo come sia cominciata. Mi pare, forse, in occasione di un concerto a Ravenna un primo dell'anno, o forse un trenta dicembre a Gubbio, non so.
"Dobbiamo avere qualcosa di rosso", disse una.
"Sì, sì, bello!" rispondemmo, appunto, in coro.
Poi una delle prime volte che cantammo con gli argentini una disse "Portiamo una rosa", e lì ci scatenammo: rose con le piume, rose grandi come gerbere, rose con le paillettese e la mia mitica, adorata rosa rossa a piccoli pois bianchi.
A questo punto, naturalmente, la cosa non andava più bene.
Troppa anarchia.
Si comprarono delle roselline rosse tutte uguali, dal diametro sobrio, sobriamente spruzzate di lustrini ma solo, sobriamente, lungo i bordi. Le roselline se ne stanno rintanate in un sacchetto azzurro che compare nel camerino delle donne prima dei concerti; ognuna di noi pesca la sua rosellina, se l'appunta in zona petto, spalla o capello, a seconda delle possibilità e delle inclinazioni naturali. A fine concerto la rosellina va riposta nell'apposito sacchetto azzurro.
L'anno scorso per un concerto di gala la rosa rossa parve troppo audace e ne furono comprate altre, bianche. Delle minuscole camelie in batteria. Niente tecnica del sacchettino, ognuna di noi prese la sua e versò il minuscolo corrispettivo in euro. Da quella volta, prima di ogni concerto ci viene comunicato se ci sarà una rosa, e se la rosa sarà rossa o bianca.
Domani per andare a cantare sui Sibillini dobbiamo portare quella bianca. Chi non verrà al concerto deve portare la rosa in sede per imprestarla alle coriste dell'altro coro con cui cantiamo.
Ma siamo sicuri che le altre coriste le vogliano, le rose?
Ma quelle che non vengono con noi domani perché devono lavorare o sono in montagna, come cavolo fanno a portare le rose in sede??
E soprattutto: io, dove c%*#o l'ho ficcata, la mia stramaledettissima rosa bianca???
Non ricordo come sia cominciata. Mi pare, forse, in occasione di un concerto a Ravenna un primo dell'anno, o forse un trenta dicembre a Gubbio, non so.
"Dobbiamo avere qualcosa di rosso", disse una.
"Sì, sì, bello!" rispondemmo, appunto, in coro.
Poi una delle prime volte che cantammo con gli argentini una disse "Portiamo una rosa", e lì ci scatenammo: rose con le piume, rose grandi come gerbere, rose con le paillettese e la mia mitica, adorata rosa rossa a piccoli pois bianchi.
A questo punto, naturalmente, la cosa non andava più bene.
Troppa anarchia.
Si comprarono delle roselline rosse tutte uguali, dal diametro sobrio, sobriamente spruzzate di lustrini ma solo, sobriamente, lungo i bordi. Le roselline se ne stanno rintanate in un sacchetto azzurro che compare nel camerino delle donne prima dei concerti; ognuna di noi pesca la sua rosellina, se l'appunta in zona petto, spalla o capello, a seconda delle possibilità e delle inclinazioni naturali. A fine concerto la rosellina va riposta nell'apposito sacchetto azzurro.
L'anno scorso per un concerto di gala la rosa rossa parve troppo audace e ne furono comprate altre, bianche. Delle minuscole camelie in batteria. Niente tecnica del sacchettino, ognuna di noi prese la sua e versò il minuscolo corrispettivo in euro. Da quella volta, prima di ogni concerto ci viene comunicato se ci sarà una rosa, e se la rosa sarà rossa o bianca.
Domani per andare a cantare sui Sibillini dobbiamo portare quella bianca. Chi non verrà al concerto deve portare la rosa in sede per imprestarla alle coriste dell'altro coro con cui cantiamo.
Ma siamo sicuri che le altre coriste le vogliano, le rose?
Ma quelle che non vengono con noi domani perché devono lavorare o sono in montagna, come cavolo fanno a portare le rose in sede??
E soprattutto: io, dove c%*#o l'ho ficcata, la mia stramaledettissima rosa bianca???
giovedì 22 dicembre 2011
RroVèrto.
Avevo scritto un lungo post su un paio di Signore che mi assillano in continuazione, ultimamente, prentendendo di farmi da Maestre di Vita, psicanalisi non richieste, commenti acidi e tentativi aggressivo-passivi di destabilizzarmi compresi nel prezzo.
Ma poi mi son detta:
ecchecca**o.
Quindi racconterò di Hilario e RroVèrto.
Hilario è argentino, RroVèrto no.
Hilario ha gli occhi blù, RroVèrto no.
Hilario ha il ritmo nel sangue, la sincope nelle ossa, lo swing fin sulla punta dei capelli neri.
RroVèrto s'illumina spiegandoti cos'è una doppia dominante dopo la mezzanotte e un'enorme pizza quattro stagioni, si trascina dietro cinquanta coristi molti dei quali non sanno leggere la musica e a volte è costretto a battere la solfa come nessun altro ("mi rifiuto di battervela in quattro, mi rifiuto!". Ma a volte poi gli tocca, altroché), e l'unico indizio del ritmo che gli serpeggia comunque, nonostante tutto, nelle vene, si legge nei piedi che gli ballano mentre dirige.
"RroVèrto", dice Hilario, "esta còsa non va bièn, cossì."
"Questa cosa la devo fare così. Per voi non cambia niente, ci ritroviamo sul battere della battuta dopo."
"Ma cossì ci portate fuori a noi, RroVèrto. Perché non la fai como è?"
"Perché como è facciamo fatica a cantarla", suggerisce sottovoce una corista a caso defilata all'estrema thule dei contralti, "e non dire che vi portiamo fuori, a voi non vi porta fuori ritmo nemmeno un camion col rimorchio."
RroVèrto e Hilario continuano a dirigere, suonare e ballare mentre noi cantiamo, la quadratura occidentale a braccetto con le onde del ritmo argentino, nel nome di Arièl.
Ma poi mi son detta:
ecchecca**o.
Quindi racconterò di Hilario e RroVèrto.
Hilario è argentino, RroVèrto no.
Hilario ha gli occhi blù, RroVèrto no.
Hilario ha il ritmo nel sangue, la sincope nelle ossa, lo swing fin sulla punta dei capelli neri.
RroVèrto s'illumina spiegandoti cos'è una doppia dominante dopo la mezzanotte e un'enorme pizza quattro stagioni, si trascina dietro cinquanta coristi molti dei quali non sanno leggere la musica e a volte è costretto a battere la solfa come nessun altro ("mi rifiuto di battervela in quattro, mi rifiuto!". Ma a volte poi gli tocca, altroché), e l'unico indizio del ritmo che gli serpeggia comunque, nonostante tutto, nelle vene, si legge nei piedi che gli ballano mentre dirige.
"RroVèrto", dice Hilario, "esta còsa non va bièn, cossì."
"Questa cosa la devo fare così. Per voi non cambia niente, ci ritroviamo sul battere della battuta dopo."
"Ma cossì ci portate fuori a noi, RroVèrto. Perché non la fai como è?"
"Perché como è facciamo fatica a cantarla", suggerisce sottovoce una corista a caso defilata all'estrema thule dei contralti, "e non dire che vi portiamo fuori, a voi non vi porta fuori ritmo nemmeno un camion col rimorchio."
RroVèrto e Hilario continuano a dirigere, suonare e ballare mentre noi cantiamo, la quadratura occidentale a braccetto con le onde del ritmo argentino, nel nome di Arièl.
martedì 20 dicembre 2011
Marò quanto siamo bravi.
Compreso Andrès che gli hanno inquadrato solo le mani ma si sente, compreso quel gran (OMISSIS) di Hilario che suona il charrango, charango, ciarango... la chitarra, lì, come cavolo si chiama, compreso il piccoletto che balla sulla pedana rossa (ma la pedana non l'avevo portata io. Il leggìo sì, però. Adesso che mi viene in mente lo devo portare anche stasera), compresa la sottoscritta stordita che come al solito se ne stava rintanata il più possibile dietro la colonna e quindi assolutamente fuori squadro, che come al solito "non ho la parte, che tanto mi impiccia e basta", e che come al solito sembravo mia nonna, più brutta però. Sigh.
Ma nell'insieme (e per fortuna nel coro è l'insieme che conta!) siamo stati belli e bravi in un posto meraviglioso, e se a qualcuno viene voglia saremo più o meno gli stessi venerdì 23 al Naima club a Forlì e martedì 27 a Pesaro all'Hotel Cruiser.
Ma nell'insieme (e per fortuna nel coro è l'insieme che conta!) siamo stati belli e bravi in un posto meraviglioso, e se a qualcuno viene voglia saremo più o meno gli stessi venerdì 23 al Naima club a Forlì e martedì 27 a Pesaro all'Hotel Cruiser.
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