Sulla riviera adriatica è quasi sera.
Il mare è una tavola verde stretta e sottile, con tanti isolotti di sabbia morbida e scura. Su uno di quegli isolotti giocano i miei figli.
Io dormo sul lettino, ma li sento. Il processore elettronico di ultima generazione che è il cervello di una madre è in grado, anche nel sonno, di discernere la voce dei figli in mezzo a quelle di miliardi di altri bagnanti minori autoctoni e alloctoni, e di percepire se le grida sono di gioia, allarme reale, allarme simulato.
Mi rigiro.
Frammenti di conversazione dall'ombrellone vicino, da una mia coetanea dall'accento lumbàrd.
"... e non le sopporto, quelle di cinquant'anni con la tinta color mogano, sembra che abbiano il casco. Io dico, se una si trascura, ma non ti guardi allo specchio la mattina? e vogliamo parlare di quelle che a quarant'anni non si tingono? che girano con i capelli grigi, o bianchi? che schifo, non si può lasciarsi andare così..."
Mi alzo e caracollo in direzione della Lombarda alla Prima Crociata.
"Scusa, cosa dicevi delle quarantenni coi capelli grigi?"
La Lombarda mi guarda con aria schifata, poi scuote la testa.
"Naaaaah, niente da fare. Non parlavo di te. Con quel taglio perfetto..."
"L'ho fatto da sola con la macchinetta."
Mi liquida con un gesto.
"Ti stanno benissimo. Ma soprattutto, con quel corpo da urlo che ti ritrovi, è chiaro che i capelli puoi tenerli come ti pare."
... corpo da urlo?!
... cioè, una cosa tipo... questo?
venerdì 26 luglio 2013
lunedì 22 luglio 2013
Dazarhahs.
In questi giorni vado in ufficio sempre ben vestita.
Coordino le scarpe con gli orecchini, mi permetto le scollature più autoreferenziali, l'altro giorno ho indossato persino una minigonna, come le mie gambe non vedevano da almeno dieci estati fa. Bianca, a balze di pizzo e cotone, assieme a un paio di ciabattine d'argento con un minuscolo tacco.
QuasiCapoF., che è un ex militare nonché un giovane di spiccata sensibilità e assillante dirittura morale, mi ha soprannominata la Ballerina da Tavolo. La collega presente mi ha chiesto perché non lo picchiavo; ho risposto che a vent'anni forse lo avrei fatto e me ne sarei andata sdegnata, ma dato che ho superato i quaranta e non ballo dall'ultima festa invernale di compleanno dei bambini, l'ho ringraziato del complimento.
CollegaD non mi parla più, preferisce rivolgersi direttamente alle mie tette.
Un paio di colleghe disapprovano - va bè, facciamo quattro o cinque - mostrando diverse sfumature, dalla perplessità simpatetica al disprezzo venato di sarcasmo al muro di astio. Io mi chiudo negli atti di nascita da trascrivere, m'infilo nei meandri dei multipli cambiamenti di nome cui sono sottoposte le donne straniere che acquisiscono la nazionalità italiana, pazientemente dipano le loro vicende dalla nascita in luoghi lontani al matrimonio al passaggio in una terra straniera dove, dopo aver lavorato e figliato e amato e sofferto ottengono la cittadinanza italiana, al prezzo di cambiare cognome, perdere un pezzo di nome, adeguarsi alla nostra piatta regola della patrilinearità.
Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato.
E intanto quando mi alzo dalla scrivania per andare a fotocopiare la carta d'identità di quelli che vengono a fare le pubblicazioni di matrimonio li vedo, i fidanzati, che mi guardano le gambe. "Puoi celebrarlo tu, per favore, il nostro matrimonio?". Certo che posso, tanto anche la fidanzata è contenta, in fondo lei ha vent'anni e io potrei essere sua madre, e un bell'Ufficiale di Stato Civile fa bella figura alla cerimonia.
Ogni tanto mi chiedo cosa mi abbia preso.
E' come se ci fosse un'altra me che non ha spazio, non riesce a venire fuori, tra i discorsi e le esigenze, reali o indotte, dei figli, tra il lavoro e la stanchezza del marito, tra i problemi, le angustie e i panegirici degli ormai numerosi parenti molto anziani, tra le mie insicurezze di madre sui generis, lavoratrice indefessa ma sempre convinta di non essere all'altezza, donna di casa risibile, cuoca nulla, sperperatrice dei nostri pochi spiccioli in oggetti compensatòri - sei braccialettini rigidi d'argento. Perché proprio sei? Perché hanno un significato.
Mi sento una Shahrazad al contrario.
Lei, per restare in vita raccontò storie per mille e una notte, finché lo Scià, probabilmente per disperazione, la fece smettere e per punizione, invece di decapitarla, la sposò. Io mi sento una Shahrazad al contrario, c'è sempre qualcuno in ogni momento pronto a raccontarmi i suoi difficili rapporti con alcuni parenti, il proprio drammatico divorzio, le vicende alterne di un devastante mal di stomaco, le nequizie di una nuora sordida, i misteri complessi di yu-gi-oh e fruit ninja, il decline and fall di una società sportiva e dei suoi accoliti, o più semplicemente ma sempre diffusamente drammi d'amore, sedute di shopping, la filosofia buddista o gli innumerevoli e imperdibili vantaggi di una dieta a base di legumi bio.
Io non riesco a parlare.
Ci ho provato con qualche cara amica, che mi ha detto "Sì sì sì, fai bene, adesso però ti devo raccontare...". Mi sento come se avessi un pallone da calcio in mezzo al petto, a volte vorrei sbattermi in terra, piantarmi un ago tra le costole per farlo scoppiare. Invece mi chiudo e mi giro la chiave come un lucchetto, ascolto chi devo ascoltare, continuo a fare quello che devo fare. Faccio finta di non vedere i bambini che lasciano tutto in giro, il marito che arrotola i calzetti dentro le mutande, la collega che aspetta al varco ogni mia minima disattenzione, mio padre di ottantacinque anni che mi spiega come devo parcheggiare l'auto. Faccio finta di non vedere i soldi che non ci sono, le vacanze che non si possono fare, il divano dove non ci si può trasferire a dormire quando il marito russa perché è vecchio e pieno di buchi, il divano.
Dentro di me c'è un'estranea.
Un'estranea che mentre lavoro sei ore al giorno dal lunedì al sabato, mentre porto i figli al mare o in piscina o a musica, mentre lavo i piatti o stendo i panni o stiro o preparo vagamente da mangiare o organizzo una cena per tirare su il morale a mia madre o accompagno mio padre dall'oculista, lei nel frattempo si mette la minigonna e si trucca, si smalta le unghie e sogna sogni molto stupidi.
A volte desidera, persino.
Coordino le scarpe con gli orecchini, mi permetto le scollature più autoreferenziali, l'altro giorno ho indossato persino una minigonna, come le mie gambe non vedevano da almeno dieci estati fa. Bianca, a balze di pizzo e cotone, assieme a un paio di ciabattine d'argento con un minuscolo tacco.
QuasiCapoF., che è un ex militare nonché un giovane di spiccata sensibilità e assillante dirittura morale, mi ha soprannominata la Ballerina da Tavolo. La collega presente mi ha chiesto perché non lo picchiavo; ho risposto che a vent'anni forse lo avrei fatto e me ne sarei andata sdegnata, ma dato che ho superato i quaranta e non ballo dall'ultima festa invernale di compleanno dei bambini, l'ho ringraziato del complimento.
CollegaD non mi parla più, preferisce rivolgersi direttamente alle mie tette.
Un paio di colleghe disapprovano - va bè, facciamo quattro o cinque - mostrando diverse sfumature, dalla perplessità simpatetica al disprezzo venato di sarcasmo al muro di astio. Io mi chiudo negli atti di nascita da trascrivere, m'infilo nei meandri dei multipli cambiamenti di nome cui sono sottoposte le donne straniere che acquisiscono la nazionalità italiana, pazientemente dipano le loro vicende dalla nascita in luoghi lontani al matrimonio al passaggio in una terra straniera dove, dopo aver lavorato e figliato e amato e sofferto ottengono la cittadinanza italiana, al prezzo di cambiare cognome, perdere un pezzo di nome, adeguarsi alla nostra piatta regola della patrilinearità.
Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato.
E intanto quando mi alzo dalla scrivania per andare a fotocopiare la carta d'identità di quelli che vengono a fare le pubblicazioni di matrimonio li vedo, i fidanzati, che mi guardano le gambe. "Puoi celebrarlo tu, per favore, il nostro matrimonio?". Certo che posso, tanto anche la fidanzata è contenta, in fondo lei ha vent'anni e io potrei essere sua madre, e un bell'Ufficiale di Stato Civile fa bella figura alla cerimonia.
Ogni tanto mi chiedo cosa mi abbia preso.
E' come se ci fosse un'altra me che non ha spazio, non riesce a venire fuori, tra i discorsi e le esigenze, reali o indotte, dei figli, tra il lavoro e la stanchezza del marito, tra i problemi, le angustie e i panegirici degli ormai numerosi parenti molto anziani, tra le mie insicurezze di madre sui generis, lavoratrice indefessa ma sempre convinta di non essere all'altezza, donna di casa risibile, cuoca nulla, sperperatrice dei nostri pochi spiccioli in oggetti compensatòri - sei braccialettini rigidi d'argento. Perché proprio sei? Perché hanno un significato.
Mi sento una Shahrazad al contrario.
Lei, per restare in vita raccontò storie per mille e una notte, finché lo Scià, probabilmente per disperazione, la fece smettere e per punizione, invece di decapitarla, la sposò. Io mi sento una Shahrazad al contrario, c'è sempre qualcuno in ogni momento pronto a raccontarmi i suoi difficili rapporti con alcuni parenti, il proprio drammatico divorzio, le vicende alterne di un devastante mal di stomaco, le nequizie di una nuora sordida, i misteri complessi di yu-gi-oh e fruit ninja, il decline and fall di una società sportiva e dei suoi accoliti, o più semplicemente ma sempre diffusamente drammi d'amore, sedute di shopping, la filosofia buddista o gli innumerevoli e imperdibili vantaggi di una dieta a base di legumi bio.
Io non riesco a parlare.
Ci ho provato con qualche cara amica, che mi ha detto "Sì sì sì, fai bene, adesso però ti devo raccontare...". Mi sento come se avessi un pallone da calcio in mezzo al petto, a volte vorrei sbattermi in terra, piantarmi un ago tra le costole per farlo scoppiare. Invece mi chiudo e mi giro la chiave come un lucchetto, ascolto chi devo ascoltare, continuo a fare quello che devo fare. Faccio finta di non vedere i bambini che lasciano tutto in giro, il marito che arrotola i calzetti dentro le mutande, la collega che aspetta al varco ogni mia minima disattenzione, mio padre di ottantacinque anni che mi spiega come devo parcheggiare l'auto. Faccio finta di non vedere i soldi che non ci sono, le vacanze che non si possono fare, il divano dove non ci si può trasferire a dormire quando il marito russa perché è vecchio e pieno di buchi, il divano.
Dentro di me c'è un'estranea.
Un'estranea che mentre lavoro sei ore al giorno dal lunedì al sabato, mentre porto i figli al mare o in piscina o a musica, mentre lavo i piatti o stendo i panni o stiro o preparo vagamente da mangiare o organizzo una cena per tirare su il morale a mia madre o accompagno mio padre dall'oculista, lei nel frattempo si mette la minigonna e si trucca, si smalta le unghie e sogna sogni molto stupidi.
A volte desidera, persino.
domenica 21 luglio 2013
Il coro di quelli che, invece.
E' lui che gliel'ha sventolato, e lei che c'è cascata. E' lei che gliel'ha servita su un piatto d'argento, e lui che non ci ha visto più. Lei è stata ingenua, lui un vero squalo. Lui un poveraccio, lei una vera troia. Lei - una leggera, lui - un incauto. Lei l'ha intortato e lui non ha resistito. Lui se l'è lavorata e lei si è sciolta come neve al sole. Lui - un bastardo, lei - un'ingenua. Lei è una rovinafamiglie, lui cosa doveva fare? Lei se l'è cercata, lui se l'è voluta. Lui con la coda tra le gambe, lei resterà sola. Da lei non me lo sarei mai aspettato, lui invece. Da lui non me lo sarei mai aspettato, lei, invece, si capiva. Ma cos'avrà lui poi per. Ma cos'avrà lei poi per. Tanto si sa, gli uomini a una certa età. Tanto si sa, le donne a quell'età. Lei poteva fare a meno. Lui cosa ci avrà trovato.
E comunque finirà male per tutti e due.
(perché il coro c'è sempre. ode al coro, del quale a volte anch'io, indegnamente, ho fatto parte)
E comunque finirà male per tutti e due.
(perché il coro c'è sempre. ode al coro, del quale a volte anch'io, indegnamente, ho fatto parte)
mercoledì 17 luglio 2013
Ikea benefit. Di Armageddon, Alicia Gimenez Bartlett e tassi di montabilità.
Ore 21 e rotti.
Tre amiche (molto amiche, amiche-amiche, quelle che se a una fanno il siero della verità vanno nei casini tutte) nel buio a bordo strada tra le auto parcheggiate e le finestre illuminate sui tinelli come tanti quadri di Hopper, solo che dentro al quadro al posto dell'Americano secco in grisaglia e ginger ale c'è l'Italiano panzuto in canottiera e cedrata.
Certo che alla fine il punto rimane quello.
Eh, già.
Ma 'nfatti.
Al di là della filosofia, del credo e dei convincimenti, è il nodo inestricabile, come dire...
Il punto di non ritorno.
Già. Una sorta di Armageddon...
... l' Apocalisse...
... Nel senso greco di "apò kalypto", rivelo o disvelo.
Ma anche nel senso di immane casino.
Che se poi come dice il Vangelo non lo fai ma lo pensi vai all'inferno come se lo avessi fatto, e allora tanto vale.
Ma 'nfatti.
Ve l'ho detto, dovete leggere l'ultimo di Alicia Gimenez Bartlett, lì si capisce proprio.
E tu passalo, no?
Hai ragione.
E comunque è dura, se càpita.
Il problema è che a volte, come dice un'amica mia, lui è proprio un uomo Ikea.
Ikea... nel senso di?
Montabile.
Tre amiche (molto amiche, amiche-amiche, quelle che se a una fanno il siero della verità vanno nei casini tutte) nel buio a bordo strada tra le auto parcheggiate e le finestre illuminate sui tinelli come tanti quadri di Hopper, solo che dentro al quadro al posto dell'Americano secco in grisaglia e ginger ale c'è l'Italiano panzuto in canottiera e cedrata.
Certo che alla fine il punto rimane quello.
Eh, già.
Ma 'nfatti.
Al di là della filosofia, del credo e dei convincimenti, è il nodo inestricabile, come dire...
Il punto di non ritorno.
Già. Una sorta di Armageddon...
... l' Apocalisse...
... Nel senso greco di "apò kalypto", rivelo o disvelo.
Ma anche nel senso di immane casino.
Che se poi come dice il Vangelo non lo fai ma lo pensi vai all'inferno come se lo avessi fatto, e allora tanto vale.
Ma 'nfatti.
Ve l'ho detto, dovete leggere l'ultimo di Alicia Gimenez Bartlett, lì si capisce proprio.
E tu passalo, no?
Hai ragione.
E comunque è dura, se càpita.
Il problema è che a volte, come dice un'amica mia, lui è proprio un uomo Ikea.
Ikea... nel senso di?
Montabile.
domenica 7 luglio 2013
It's all in the wrist.
mamma, posso fare il bagno appena mangiato?
sì.
mamma posso avere un altro gelato?
sì.
mamma, posso andare a fare la trecentodecima partita a biliardino?
sì.
mamma posso strafocarmi di patatine e poi, naturalmente, fare il bagno al largo?
sì.
mamma, posso infastidire i grandi che giocano a ping pong?
sì.
mamma posso rubare la fidanzata al mio migliore amico?
sì.
mamma posso...
naturalmente.
mamikazen, i tuoi figli sono due angeli. Ma come fai a farli stare così buoni al mare? Si vede proprio che li hai educati bene. E' inutile che continui a dire che sono buoni di natura, che tu non fai niente, se non li avessi educati bene non sarebbero così. Sei davvero una brava mamma. Ma come fai?
Beh, è tutta questione di polso.
(polso sempre saldamente fermo. A bordo lettino, ovviamente).
sì.
mamma posso avere un altro gelato?
sì.
mamma, posso andare a fare la trecentodecima partita a biliardino?
sì.
mamma posso strafocarmi di patatine e poi, naturalmente, fare il bagno al largo?
sì.
mamma, posso infastidire i grandi che giocano a ping pong?
sì.
mamma posso rubare la fidanzata al mio migliore amico?
sì.
mamma posso...
naturalmente.
mamikazen, i tuoi figli sono due angeli. Ma come fai a farli stare così buoni al mare? Si vede proprio che li hai educati bene. E' inutile che continui a dire che sono buoni di natura, che tu non fai niente, se non li avessi educati bene non sarebbero così. Sei davvero una brava mamma. Ma come fai?
Beh, è tutta questione di polso.
(polso sempre saldamente fermo. A bordo lettino, ovviamente).
Etichette:
cielocomesonofattamale,
femmine,
i figli questi sconosciuti,
maniacando,
mi diverto da morire con le cose più strane,
ufficio complicazione cose semplici
giovedì 4 luglio 2013
Tie break (jeux décisif)
Ciao collega GenioDeiTelefoni!
Ooh, Mamikazen, che piacere.
Aspetta un momento prima di immergerti nel misterioso mondo degli apparecchi telefonici muti, devo chiederti una cosa.
Spara.
Tu che sei un provetto tennista, puoi darmi qualche dritta sul circolo del tennis?
Per te? Vuoi imparare a giocare?
No, per mio marito che non fa più movimento e mette su pancia. Quando era ragazzo giocava, vorrei regalargli delle lezioni per vedere se riesco a fargli fare un po' di moto.
Segnati questo numero: 063XYZWR, quando chiami chiedi di Mattia che è il coordinatore degli istruttori. Ma toglimi una curiosità...
Certamente, dimmi.
A donne, il marito, come va?
Mah, non saprei. Capisci, se va a donne non lo dice certo a me! Evidentemente comunque non fa abbastanza movim...
Non hai capito.
No?
No. Io intendevo: con TE.
Con... beh, compatibilmente con gli impegni e la famiglia... insomma normale, ma WTF... ?!
Segnati questo numero: 347GFTDFR.
Fatto. E' un insegnante di tennis?
No. E' il mio cellulare. Per te, non per il marito.
...
Ricordati, eh?
...
Ooh, Mamikazen, che piacere.
Aspetta un momento prima di immergerti nel misterioso mondo degli apparecchi telefonici muti, devo chiederti una cosa.
Spara.
Tu che sei un provetto tennista, puoi darmi qualche dritta sul circolo del tennis?
Per te? Vuoi imparare a giocare?
No, per mio marito che non fa più movimento e mette su pancia. Quando era ragazzo giocava, vorrei regalargli delle lezioni per vedere se riesco a fargli fare un po' di moto.
Segnati questo numero: 063XYZWR, quando chiami chiedi di Mattia che è il coordinatore degli istruttori. Ma toglimi una curiosità...
Certamente, dimmi.
A donne, il marito, come va?
Mah, non saprei. Capisci, se va a donne non lo dice certo a me! Evidentemente comunque non fa abbastanza movim...
Non hai capito.
No?
No. Io intendevo: con TE.
Con... beh, compatibilmente con gli impegni e la famiglia... insomma normale, ma WTF... ?!
Segnati questo numero: 347GFTDFR.
Fatto. E' un insegnante di tennis?
No. E' il mio cellulare. Per te, non per il marito.
...
Ricordati, eh?
...
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