sabato 25 febbraio 2012

The way you wear your hat. Capitolo secondo

La nonna aveva detto solo quello, poi era ammutolita. Continuava a sorridere e a guardare il cappello, dimentica di me, del fatto che mi doveva una storia.
Chi era Charles, e perché quel cappello gli apparteneva? Ne aveva uno solo? Com'era finito nel comò di mia nonna? Dov'era andato Charles, senza il suo cappello? E lui, com'era? Era grigio, come quel feltro, oppure rosso vivo? era alto, basso, magro, grasso, con i baffi o senza?
Ma sapevo che incalzare nonna Ellie con le domande avrebbe avuto solo effetti negativi. Lei amava raccontare le storie a modo suo e in genere ne valeva la pena, quindi mi mangiai la lingua ed aspettai.
Dopo un poco nonna Ellie appoggiò il feltro e ritornò alla sua poltrona, senza riprendere in mano il cucito. Si mise a sedere. La ricordo, quel pomeriggio, come se fosse ancora lì, con il sole pomeridiano che filtrava dal giardino e illuminava i suoi capelli sale e pepe e la pelle scura, su cui il tempo aveva lasciato una patina opaca.

“Charles suonava nel club di nonno Lucas. Cioè, per te bisnonno Lucas. Il mio papà.”
Sapevo che nonno Blaine era stato il primo uomo di colore a possedere un locale pubblico a Fairwheel e, per dirla tutta, nell'intero Stato. Lo aveva vinto giocando a carte, sentivo dire ogni tanto ai parenti di mio padre, per i quali tutto ciò che aveva a che fare con la musica o l'arte era roba per gente che non aveva voglia di lavorare. Aveva acquistato il locale e la licenza faticando come una bestia per quindici anni anni nelle miniere dello Yukon, mi raccontava invece mia madre quando passavamo accanto al luogo dove una volta sorgeva il club, trasformato poi in un cinema, infine in un residence di mini appartamenti. Il club si chiamava The Gold Digger, ma tutti lo chiamavano semplicemente The Gold.

“Suonava il pianoforte e il violino. Aveva studiato alla Juilliard, a New York, suo padre voleva che diventasse un grande violinista classico. Ma a lui piaceva il blues.”
“E così era tornato qui.”
“Esatto, era tornato qui, dove si faceva il miglior blues del Nord America, meglio anche di quello di New York perché qui, al contrario di là, c'era tempo per pensare. E a lui pensare piaceva molto.”
“Cos'altro gli piaceva, nonna?” chiesi. Il cappello grigio posato sul copriletto ricamato evidentemente possedeva un'anima, un'anima affascinante che intendevo scoprire.
“Gli piaceva camminare.”
Emisi un mormorìo di disappunto. Camminare non mi sembrava un'attività degna di un uomo affascinante.
“Suppongo che tutto quel camminare fosse connesso al pensare. Non ne abbiamo mai parlato, in effetti, ma credo fosse così. Certi pomeriggi lo vedevi imboccare la Union Road in direzione delle colline con le mani in tasca. Diventava sempre più piccolo, sempre più lontano, e poi spariva.
Papà si preoccupava se la sera al locale c'era musica, e in certi periodi si faceva musica tutte le sere, ma io gli dicevo: 'non ti preoccupare, papà. Quando è ora di suonare, vedrai che torna'. E lui tornava.”
“Sei mai andata con lui?”
“Qualche volta, quando me lo chiedeva. Ma gli piaceva camminare da solo. Non puoi pensare, se non sei da solo.”
Me lo immaginavo, questo tipo. Lo vedevo con i pantaloni e le scarpe a punta, il cappello di feltro grigio e le mani in tasca, avviarsi di buon passo e scomparire lungo la Union Road.
“Era bravo? A suonare, intendo.”
“Mio padre diceva che aveva le dita d'oro. E se lo diceva The Gold Digger, potevi crederci. In effetti era così; venivano da lontano, oltre i confini dello Stato, per ascoltare Charlie quando suonava col gruppo e ancora di più quando suonava il piano solo per me, solo io e lui, musica e voce. Riempivamo il locale al punto che le cameriere non riuscivano più a muoversi tra i tavoli per portare le ordinazioni. Eleanor Blaine e Charles Colbert, voce e pianoforte. Dev'esserci ancora qualche vecchia locandina, in quella cassapanca”, disse nonna Ellie, agitando una mano nella mia direzione. Mi alzai ed andai a frugare.
“Colbert... come il sindaco?” chiesi.
“John Colbert, nostro attuale amatissimo sindaco, è un nipote di Charles. Figlio di uno dei suoi fratelli minori, Simon o Stephan, non ricordo.”
Mentre la nonna parlava avevo trovato quello che cercavo nel mucchio di carte in fondo al baule, in un angolino dove non avevo mai guardato perché tutti quei fogli gialli mi parevano roba poco interessante. Posai con cautela la locandina sul tavolino accanto alla poltrona della nonna, presi gli angoli con delicatezza e la aprii.

1 commento:

  1. Bene, già ti ho detto un paio d'anni fa che scrivi molto bene, non posso che confermare.
    Ti suggerirei - se già non lo fai - di partecipare a qualche concorso letterario.
    Comunque, mi hai chiesto di Spontini/Wagner e ti scrivo anche qui che, ovviamente, il Principe ha ragione, Wagner ammirava Spontini e quando compose Rienzi, Lohengrin e Tannhäuser aveva sicuramente ben presente la Agnese (come altro eh? Euryanthe di von Weber, per esempio, c'è un duetto che nella stuttura musicale è quasi sovrapponibile a quello tra Ortrud e Telramund).
    Più propriamente a Spontini poi si sono rifatti sia Wagner sia Verdi per quanto riguarda l'uso, pensa un po', del suono delle incudini. Ovviamente nel Trovatore e nel Ring (memorabile la forgiatura della spada Notung).
    Augh.

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